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NUOVE SOLUZIONE CONSERVATIVE NEL TRATTAMENTO DELL’OSTEOARTROSI: CONDROPROTEZIONE E VISCOSUPPLEMENTAZIONE

In Italia le malattie reumatiche colpiscono circa 5 milioni e mezzo di abitanti, un decimo della popolazione totale. Tra queste, l’Osteoartrosi (OA) è di gran lunga l’affezione più frequente, rappresentando da sola circa il 72% dei casi con un’incidenza che aumenta con l’aumentare dell’età [1].
L’OA è un processo patologico di natura degenerativa che trae origine dalla perdita del fisiologico equilibrio tra fenomeni catabolici e fenomeni riparativi a livello della cartilagine articolare. Il processo coinvolge anche l’osso subcondrale, la membrana sinoviale e determina uno scompenso globale a carico dell’articolazione.
La patogenesi dell’artrosi non è stata ancora completamente chiarita [2]. L’ipotesi più accreditata evidenzia come sollecitazioni meccaniche eccessive che agiscono su una cartilagine normale o alterazioni cartilaginee intrinseche determinino una aumentata produzione da parte dei condrociti di Metalloproteasi di matrice (MMPs), una famiglia di endopeptidasi zinco-dipendenti in grado di degradare la matrice extracellulare, con conseguente degradazione della matrice cartilaginea e liberazione di detriti nel liquido sinoviale. Questi detriti fagocitati dalla membrana sinoviale stimolano i sinoviociti a produrre citochine pro-infiammatorie (principalmente IL-1 e TNF-a) che, a loro volta, inducono i condrociti a produrre NO e PGE2, amplificando così il processo flogistico-degenerativo [3].
L’OA è, per diversi fattori, una patologia particolarmente difficile da trattare: innanzitutto è una patologia che tende a cronicizzare e, in quanto tale necessita di terapie di lungo periodo. La cronicizzazione della patologia si accompagna inoltre allo sviluppo di un’invalidità che, a seconda del decorso della patologia, può essere più o meno grave e comportare costi sociali e personali più o meno elevati [4].
Le linee guida ACR (American College of Rheumatology) 2019 [5] per la gestione del paziente artrosico includono una combinazione di interventi farmacologici (Terapia sintomatica, Terapia intrarticolare e Terapia di fondo) e non farmacologici (perdita di peso, programmi di istruzione del paziente, esercizio fisico e così via), mentre la chirurgia viene di solito riservata solo alle forme più gravi nelle quali il dolore e la difficoltà di movimento impediscono al paziente di condurre una vita normale.
Ad ogni modo, ad oggi, non esistono terapie farmacologiche specifiche in grado di prevenire la progressione del danno articolare causato da OA, ma la terapia standard prevede l’adozione di un regime terapeutico basato su una combinazione di Farmaci sintomatici ad azione rapida (Fast-Acting Drug for OsteoArthritis) e
Farmaci sintomatici ad azione lenta (SYmptomatic Slow-Acting Drugs for OsteoArthritis) [6]. Appartengono alla prima categoria i FANS, gli Analgesici e i Corticosteroidi classici; questi farmaci hanno il vantaggio di esercitare un effetto immediato sugli stati infiammatori responsabili del dolore (quindi sul sintomo), ma non esercitano alcun’azione sulle cause della patologia osteoartrosica e spesso producono effetti collaterali non trascurabili (gestrointestinali, renali e cardiovascolari) che non ne rendono consigliabile l’impiego sul lungo periodo [7,8]. Congiuntamente ai farmaci sintomatici classici è oramai di uso comune nella gestione del paziente con OA il ricorso ai cosiddetti SYSADOA [9-11]. Si tratta di principi attivi in grado di stimolare la sintesi dei principali costituenti della cartilagine articolare (Glicosaminoglicani, Proteoglicani e Collagene), fornendo così nutrimento e sostegno all’articolazione artrosica, conservare le condizioni di vitalità dei ondrociti e mantenere inalterate le caratteristiche del liquido sinoviale [12].
Appartiene a questa categoria tra le altre, l’acido ialuronico (HA) somministrato principalmente per via intrarticolare (viscosupplementazione) [13].
Il concetto di viscosupplementazione (VS) venne introdotto nel 1993 da Balazs [13] come nuova strategia terapeutica per il trattamento di patologie, come l’osteoartrosi, responsabili di un’alterazione qualitativa e quantitativa del liquido sinoviale delle articolazioni.
Balazs per primo ipotizzò che l’iniezione intra-articolare di HA nelle articolazioni osteoartrosiche avrebbe avuto la capacità di ripristinare la viscoelasticità del liquido sinoviale, di aumentare il flusso di liquido articolare, di normalizzare la sintesi endogena di ialuronato, di inibire la degradazione di ialuronato, di ridurre il dolore articolare e di migliorare la funzionalità dell’articolazione [13].
Attualmente, numerosi studi dimostrano con sempre maggior evidenza, come cicli ripetuti di iniezioni ecoguidate intra-articolari di HA, comportino un notevole miglioramento della sintomatologia dolorosa nonché della funzionalità articolare e del consumo di analgesici evidenziando inoltre, un netto ritardo per gli interventi di protesizzazione delle articolazioni interessate dal processo patologico [14,15].
Nonostante ciò, le linee guida e le raccomandazioni delle diverse Società sono spesso in contraddizione tra loro questo perché il principale svantaggio offerto da suddetta terapia è che il processo infiammatorio in corso riduce notevolmente il suo effetto, dal momento che la produzione di enzimi litici, degrada ulteriormente l’articolazione [16].
Ne consegue che molte evidenze hanno cominciato a porre l’accento sull’associazione di VS e condroprotezione orale.
In uno studio randomizzato open label, 40 pazienti con OA del ginocchio di grado lieve-moderato sono stati assegnati a ricevere VS intrarticolare con HA per 5 settimane, seguita o meno da condroprotezione orale per 6 mesi. Entrambi i gruppi hanno riportato significativi benefici alla conclusione della terapia infiltrativa rispetto alla situazione basale, ma solo i pazienti che assumevano condroprotezione orale, hanno mantenuto i punteggi di VAS e Lequesne a 6 mesi significativamente ridotti da quelli basali [17].
La condroprotezione orale, nello specifico prevede l’utilizzo di un gruppo di principi attivi che prendono il nome di Inibitori delle Metalloproteasi di matrice (MMPs). Come visto in precedenza l’attivazione delle MMPs rappresenta il trigger patologico in grado di innescare il processo infiammatorio a livello articolare [18-21].
Bloccare questi enzimi, significa pertanto ritardare la degenerazione cartilaginea, arrestando al contempo il processo flogistico a valle [22,23].

Appartengono a questa categoria: N-Acetil-D-glucosammina, Condroitin solfato, Metilsulfonilmetano e Boswellia serrata.
La N-Acetil-D-Glucosamina (NAG) è un aminozucchero precursore della sintesi dei Glicosaminoglicani (GAGs), i principali costituenti della cartilagine articolare. Così come le altre forme di Glucosammina presenti sul mercato (Glucosammina solfato e Glucosammina cloridrato), la NAG è in grado di stimolare la sintesi dei principali costituenti della matrice cartilaginea (GAGs, PGs e Acido ialuronico), fornendo nutrimento e sostegno trofico all’articolazione. La NAG presenta inoltre dei vantaggi sostanziali che ne incoraggiano l’uso rispetto alle altre forme di Glucosammina [24]. In particolare, a differenza della Glucosammina solfato e cloridrato, la NAG è in grado di operare l’inibizione delle MMPs, rallentando l’erosione della matrice cartilazionea e il conseguente processo di flogosi, stimolare la sintesi di HA, esplicare un’interessante azione antinfiammatoria, non inibire la sintesi di Glucosammina endogena e non indurre insulino-resistenza.
Tant’è vero che, ad oggi, la NAG, rappresenta l’unica forma di Glucosamina ad aver ottenuto una specifica indicazione terapeutica da parte del Ministero della Salute italiano.
Un altro principio attivo in grado di provocare l’inibizione delle MMPs e da tempo utilizzato nella gestione del paziente artrosico è la Condroitin solfato. Quest’ultima, rappresenta il GAG più abbondante a livello della cartilagine articolare, dove ne rappresenta il maggiore responsabile della resistenza alla compressione, tant’è vero che l’impoverimento in Condroitin solfato della cartilagine articolare rappresenta una tra le principali cause di OA [25-29].
Il beneficio apportato dalla Condroitin solfato nei pazienti affetti da OA è presumibilmente il risultato di varie azioni: stimolazione della sintesi di Proteoglicani e Acido ialuronico, inibizione dell’attività erosiva delle MMPs, azione antinfiammatoria e inibizione dell’apoptosi dei condrociti articolari [25-29].
In diversi studi clinici, la Glucosamina e la Condroitina sono state associate ad altri principi attivi naturali che hanno prodotto risultati promettenti nel trattamento delle patologie su base infiammatoria: Si tratta del Metilsulfonilmetano (MSM) e della Boswellia serrata (BS) [30-32].
Il Metilsulfonilmetano (MSM) rappresenta la forma naturale dello zolfo organico [33]. L’azione protettiva
dell’MSM sulla cartilagine articolare, si deve al ruolo svolto dallo zolfo nella sintesi del Collagene; la presenza dello zolfo serve infatti a garantire la formazione dei legami disolfuro tra le triple eliche del Procollagene, promuovendo la formazione dei tessuti elastici quali appunto la cartilagine articolare. Il Metilsulfonilmetano inibisce inoltre l’attivazione delle MMPs ed è in grado di migliorare la permeabilità cellulare, permettendo alle sostanze dannose di essere eliminate più facilmente e prevenendo così un possibile aumento della pressione intracellulare che è causa di dolore e infiammazione. Il MSM inibisce infine la trasmissione dell’impulso doloroso attraverso le fibre nervose di tipo C e svolge una discreta azione antispasmodica, riducendo l’incidenza di dolore e crampi muscolari [34,35].
La Boswellia serrata, è un albero di grandi dimensioni che cresce nelle regioni montuose di India, Nord Africa e Medio Oriente. La gommoresina di questa pianta è ricca di numerosi principi attivi, tra cui spiccano per importanza gli Acidi cheto-boswellici (AKBA) [36]. Quest’ultimi sono in grado di inibire selettivamente l’enzima 5-Lipossigenasi, coinvolto nella biosintesi di importanti mediatori del processo infiammatorio: i
Leucotrieni. La selettività di inibizione relativa alla sola Lipossigenasi e non della Ciclossigenasi, rende l’azione antinfiammatoria degli Acidi Boswellici particolarmente interessante ed utile ai fini terapeutici, in quanto non determina in nessun caso gastrolesività (al contrario dei FANS). Gli Acidi boswellici si sono inoltre dimostrati in grado di bloccare la migrazione dei leucociti polimorfonucleati verso i siti di flogosi. Ciò fornisce un notevole vantaggio terapeutico, dal momento che, se non bloccate, queste cellule, una volta giunte sul sito dell’infiammazione, rilasciano una serie di enzimi ad azione proteolitica (Elastasi, Glucuronidasi, N- Acetilglucosaminidasi, ec..), responsabili della distruzione del collagene e dei tessuti elastici (Cartilagini, Tendini e Legamenti). Le proprietà della Boswellia Serrata sono ampiamente riconosciute in letteratura, al punto che lo stesso Ministero della Salute ha rilasciato per questa sostanza il seguente Claim Ministeriale: “La Boswellia Serrata Sostiene la Funzionalità Articolare e Contrasta gli Stati di Tensione localizzati” [37-40].
In conclusione, come si è visto, da un punto di vista teorico l’associazione della VS con HA, di breve durata e ad azione relativamente rapida sull’articolazione, con un trattamento condroprotettivo ad azione lenta che permetta di prolungare il beneficio clinico agendo sugli stessi meccanismi fisiopatologici potrebbe avere un fondato razionale clinico. In realtà, ambedue i tipi di trattamento hanno un effetto nel proteggere la cartilagine articolare e ritardare la progressione della malattia e la loro azione potrebbe essere complementare e sinergica [41-44].
Anche dal punto di vista clinico, l’associazione di una VS intrarticolare con 3-5 iniezioni intrarticolari di HA a cadenza settimanale con un trattamento condroprotettivo orale di 3-6 mesi, che permetta di prolungare il beneficio clinico agendo sugli stessi meccanismi fisiopatologici, sembra ragionevole e supportato da iniziali evidenze sperimentali.
Nuovi studi si rendono quindi necessari al fine di validare con ancor maggior vigore quanto precedentemente descritto.

Dott. Alessandro Cerino  – Specialista in Ortopedia e Traumatologia

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MIGLIORAMENTO DEGLI INDICI CLINIMETRICI IN PAZIENTI CON ARTROSI DOPO IL TRATTAMENTO CON UN PRODOTTO A BASE DI N-ACETIL-D-GLUCOSAMINA, CONDOITIN SOLFATO, METILSULFONILMETANO (MSM), BOSWELLIA SERRATA, SILICE E VITAMINA C

L’osteoartrosi (OA) è una delle malattie croniche più diffuse e invalidanti che colpiscono gli adulti. La sua caratteristica più importante è la progressiva perdita di integrità della cartilagine articolare dovuta ad una maggiore azione catabolica del condrocita in combinazione con cambiamenti nelle ossa sottostanti e nei margini articolari [1] che provoca una compromissione del movimento articolare, un forte dolore e, in definitiva, la disabilità.

La sua elevata prevalenza e il suo impatto da moderato a grave sulla vita quotidiana pongono un significativo problema di salute pubblica [2].

Oggi, una cura per l’OA rimane sfuggente per cui, la sua gestione si concentra principalmente sull’attenuazione della sintomatologia associata. Le attuali raccomandazioni includono una combinazione di interventi non farmacologici come: la perdita di peso, programmi educativi, l’esercizio fisico e così via e farmacologici che precisamente riferiscono all’utilizzo di farmaci di natura differente come: paracetamolo, farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e così via [3]. Tra questi, i FANS attualmente risultano essere quelli maggiormente prescritti [4] nonostante i documentati gravi affetti avversi associati al loro uso nel lungo termine.

In questo contesto, diventano necessari trattamenti alternativi sicuri ed efficaci, ma soprattutto si rafforza l’importanza della prevenzione il che si traduce, sempre più spesso, nell’impiego di nutraceutici ad azione condroprotettrice ed antinfiammatoria la cui composizione è per lo più rappresentata da molecole come le SYSADOA (SYmptomatic Slow-Acting Drugs) ovvero: N-Acetil-D-Glucosamina e Condroitin solfato [5-9] in combinazione con Metilsulfonilmetano e Boswellia serrata [9-15].

Con le premesse appena esposte, è stato condotto uno studio osservazionale in aperto monocentrico al fine di valutare l’impatto su alcuni indici clinimetrici dell’utilizzo di un integratore alimentare a base di N-Acetil-D-Glucosamina, Condoitin solfato, Metilsulfonilmetano (MSM), Boswellia serrata tit. al 65% in acidi boswellici, Silice e Vitamina C.

L’aggiunta in formulazione di attivi come il Biossido di Silicio e la Vitamina C è stata valutata in relazione a comprovate evidenze scientifiche [16-18] che hanno condotto alla costituzione di relativi claims EFSA.

I 30 pazienti (23 donne e 7 uomini) reclutati affetti da una condizione artrosica generalizzata con un’età mediadi 63 anni, hanno ricevuto il nutraceutico per un arco temporale di tre mesi.

La posologia prevedeva l’assunzione di una bustina al giorno (30 minuti dopo colazione o pranzo) ognuna delle quali conteneva i seguenti dosaggi:

N-Acetil-D-Glucosamina500 mg
Condroitin solfato400 mg
Metilsulfonilmetano (MSM)2500 mg
Boswellia serrata e.s. tit. 65% in acidi boswellici
(di cui acidi boswellici)
300 mg
(195 mg)
Silice20 mg
Vitamina C80mg (100% VNR)

Il follow-up prevedeva una visita al basale corrispondente a T0 ed una seconda visita di controllo corrispondente a T1 a tre mesi dall’inizio del trattamento. Durante entrambe le visite, allo scopo di monitorare l’andamento della terapia, sono stati esaminati attraverso l’utilizzo di strumenti ben precisi, i seguenti endpoints:

  • La riduzione del dolore articolare;
  • La riduzione della rigidità articolare mattutina;
  • La riduzione dell’indice di disabilità

Il dolore articolare è stato valutato mediante l’utilizzo della scala VAS (Visual Analogue Scale) [19] ovvero, uno dei parametri maggiormente impiegati per stimare l’intensità e l’entità di sollievo dello stesso nei pazienti adulti. Il dolore è un sintomo soggettivo, cioè percepito in modo differente da ciascun soggetto e soprattutto difficile da descrivere oltre che allo stesso modo complesso da percepire nella sua reale entità da parte di chi ascolta.

La scala VAS, pertanto, si dimostra lo strumento di valutazione ottimale a tale scopo in quanto è di semplice utilizzo, riproducibile, e rapido.

Ai pazienti è stato chiesto di valutare l’intensità del dolore provato nelle ultime 24 ore classificandolo con un punteggio da 0 a 10 dove 0 indicava intensità nulla e 10 intensità massima.

La rigidità articolare mattutina invece, è stata valutata su 4 livelli differenti:

  1. Nessuna;
  2. Lieve;
  3. Moderata;
  4. Severa.

Anche in questo caso si è richiesta una valutazione soggettiva da parte del paziente catalogando la rigidità articolare percepita appena svegli in una delle sopraelencate categorie.

Infine, l’Health Assessment Questionnaire (HAQ) è stato lo strumento utilizzato per la valutazione dell’indice di disabilità [20].

Nello specifico, con HAQ si fa riferimento ad una misurazione della capacità funzionale, rapido e facile da calcolare utile nel valutare la risposta a breve termine al trattamento.

L’HAQ che regolarmente comprende 20 quesiti riguardanti attività della vita quotidiana, suddivisi in 8 categorie (lavarsi e vestirsi, alzarsi, camminare, igiene personale, mangiare, raggiungere ed afferrare oggetti, attività più complesse), è stato ridotto ad 8 quesiti ognuno rappresentativo di una singola categoria. Le risposte possibili per ogni quesito erano 4, in relazione al grado di difficoltà che comportava l’azione richiesta:

  • 0 = senza difficoltà
  • 1 = con qualche difficoltà
  • 2 = con molta difficoltà
  • 3 = non possibile

La somma dei punteggi (da 0 a 24) diviso 8, rappresentava il punteggio finale dell’HAQ.

Definiti i materiali e metodi utilizzati, possiamo passare all’analisi dei risultati.

Gli esiti sull’indice di dolorabilità ottenuti (Fig.1), hanno evidenziato che la media del punteggio della scala VAS è passato da 7,2 al basale (T0) a 4,9 al controllo (T1) assistendo così ad una riduzione percentuale del valore medio del 32%.

Anche la media del punteggio HAQ ha subito una variazione (Fig.2) tra Il basale (T0) ed il controllo (T1). Più precisamente, si è passati da un valore di 1,2 a T0 ad uno di 0,8 a T1 il che si traduce con una riduzione percentuale del valore medio pari al 37%

L’ultimo endpoint esaminato è stato quello della rigidità articolare mattutina (Fig.3). I 30 pazienti valutati al basale (T0) avevano una distribuzione per categoria pari a:

  • 2 con assenza di rigidità
  • 12 con rigidità lieve
  • 14 con rigidità moderata
  • 2 con rigidità severa

Al controllo (T1) si è assistito ad una ridistribuzione delle categorie così come segue:

  • 4 con assenza di rigidità
  • 20 con rigidità lieve
  • 6 con rigidità moderata
  • 0 con rigidità severa

l risultato ottenuto, indica una variazione percentuale vantaggiosa dei pazienti all’interno della stessa categoria tra il basale (T0) ed il controllo (T1) in quanto, a conclusione del periodo di trattamento, gran parte dei pazienti in studio presentavano una rigidità articolare mattutina assente o lieve.

La ridistribuzione positiva della popolazione esaminata nelle categorie di rigidità può essere facilmente compresa anche dai dati percentuali evidenziabili in Fig. 4.

È constatabile come i pazienti con una rigidità articolare mattutina riferita tra l’assente ed il lieve raggiunga un valore del 79% sul totale dei pazienti esaminati al controllo (T1) rispetto al 47% del basale (T0).

In conclusione, l’utilizzo trimestrale di un integratore a base di N-Acetil-D-Glucosamina, Condoitin solfato, Metilsulfonilmetano (MSM), Boswellia serrata tit. al 65% in acidi boswellici, Silice e Vitamina C ha avuto un impatto positivo sulla riduzione del dolore articolare, sulla riduzione della rigidità articolare mattutina e sulla riduzione dell’indice di disabilità dei pazienti esaminati.

I risultati del presente studio osservazionale sommati alle numerose e promettenti basi scientifiche pongono l’accento sulla possibilità che la supplementazione nutrizionale rappresenti un’importante alternativa terapeutica per la gestione dell’ostoartrosi (soprattutto in tema di prevenzione) od una valida terapia di associazione al classico trattamento farmacologico.

La necessità di approfondire ulteriormente l’argomento con studi clinici randomizzati e controllati è però fondamentale al fine di indagare con maggiore cura ed eventualmente confutare con dati ancor più concreti i potenziali benefici del trattamento combinato di questi principi attivi nella patologia osteoartrosica.

Dott. Marco Tasso  – Specialista in Ortopedia e Traumatologia

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L’IMPIEGO DI ATTIVI NATURALI NELLA GESTIONE DEL PAZIENTE GONARTROSICO

L’ Osteoartrosi (OA) rappresenta, ad oggi, la patologia reumatica più diffusa nella popolazione mondiale: un terzo della popolazione superiore ai 45 anni è alla ricerca costante di un trattamento per l’OA e, l’81% di questi, lamenta dolore e importanti limitazioni funzionali, con conseguente difficoltà di svolgimento delle normali attività quotidiane e astensione dai luoghi di lavoro [1].

Con il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumento sempre più consistente dell’obesità, l’incidenza di OA sintomatica e di protesi articolari aumenta di anno in anno, così come i costi sociali e sanitari, divenuti sempre più insostenibili.

Come se non bastasse, sempre più frequentemente, si registrano segni di artrosi in soggetti giovani che praticano sport ad alta intensità o sottoposti ad un lavoro fisico usurante e per i quali l’artoplastica articolare non rappresenta ancora una strada percorribile [1].

L’artrosi si configura quindi sempre più come una malattia sociale, non necessariamente confinata alla sfera geriatrica, facendo emergere un chiaro e crescente bisogno di nuove soluzioni terapeutiche.

Tutte le strutture articolari dell’organismo possono essere colpite da fenomeni artrosici, ma attualmente, la gonartrosi rappresenta, insieme all’osteoartrosi dell’anca, la forma artrosica responsabile della maggiore disabilità e dei maggiori costi sociali, calcolati in termini di giorni di assenza da lavoro e pensionamento anticipato [2].

La gonartrosi colpisce specificatamente la cartilagine dell’articolazione del ginocchio. Il tessuto si deteriora portando allo sfregamento diretto delle ossa dell’articolazione e provocando dolore, difficoltà nel movimento e infiammazione [2].

Le raccomandazioni della SIR (Italian Society for Rheumatology), aggiornate al 2019, caldeggiano un approccio multidisciplinare al trattamento della gonartrosi, incentrato sull’adozione di terapie farmacologiche, riabilitative e su un corretto stile di vita [3]. Sul piano delle terapie farmacologiche, nei pazienti in cui il dolore non è adeguatamente controllato, l’analgesia di prima linea si basa sul ricorso ai FANS, agli Analgesici oppioidi e alle iniezioni intra-articolari di Corticosteoridi [1]. Tuttavia, anche il migliore di questi agenti, fornisce un’efficacia clinicamente significativa solo nella metà dei soggetti; inoltre, gli effetti collaterali e la potenziale tossicità, ne limitano l’impiego in una popolazione che spesso ha associate comorbidità [1].

Nei pazienti con gonartrosi refrattari alle terapie conservative o che non abbiano risposto alle terapie farmacologiche, per ridurre il dolore e la flogosi, prima del trattamento chirurgico, è possibile prendere in considerazione la somministrazione intra-articolare di Acido ialuronico [4].

Sebbene l’uso di questi device migliori taluni parametri clinici (dolore, scrosci articolari, etc.) i risultati rimangono ambigui per quanto riguarda il controllo delle altre componenti dell’osteoartrosi, particolarmente l’infiammazione e la rigenerazione cartilaginea [5-7]. Per incrementare il successo terapeutico della terapia farmacologia e viscosupplementativa è possibile ricorrere alla medicina integrata.

Ben riconosciuta dalla comunità scientifica, la medicina integrata prevede l’utilizzo di integratori e nutraceutici, sia nella prevenzione che nella gestione di fondo della gonartrosi. Ne sono un esempio i cosiddetti SYSADOA (SYmptomatic Slow-Acting Drugs), ovvero principi attivi in grado di favorire i processi riparativi cartilaginei, ritardando/stabilizzando i cambiamenti patologici a carico dell’articolazione [8].

Negli ultimi anni poi la medicina d’integrazione si sta sempre più orientando verso l’impiego di principi attivi, naturali e/o endogeni che, oltre a fornire supporto trofico all’articolazione, siano in grado di operare
l’inibizione delle cosiddette metalloproteasi di matrice (MMPs), enzimi endogeni responsabili della degenerazione cartilaginea e del conseguente processo infiammatorio [9]. In questo modo è possibile agire direttamente a monte del processo patogenetico con un duplice meccanismo: di supporto e antiflogistico.


Appartengono alle categorie sopracitate:

  • La N-Acetil-D-glucosammina;
  • La Condroitina solfato;
  • Il Metilsulfonilmetano;
  • La Boswellia serrata.

La N-Acetil-D-Glucosamina (NAG) è un derivato N-acetilato della glucosamina, presente naturalmente nell’organismo umano e sintetizzata a partire dalla D-glucosamina-6-P [10]. Estratta solitamente dai tessuti che strutturano il carapace dei crostacei, interviene nella sintesi di molecole biologicamente molto preziose quali: Glicosaminoglicani (GAG), Proteoglicani e Acido Ialuronico (azione anabolica) ovvero macromolecole, presenti nella matrice cartilaginea e/o nella sinovia, che concorrono al mantenimento delle proprietà strutturali e funzionali dei tessuti sottoposti a continue sollecitazioni, come quelli articolari.
In quanto condroprotettore, oltre che a svolgere un’azione anabolica sul condrocita, è attiva anche nella riduzione dell’attività della Collagenasi, enzima condrolitico appartenente alla classe delle MMPs, responsabile della degradazione del collagene (azione catabolica).


La Condroitina Solfato invece, rappresenta il GAG più abbondante a livello della cartilagine articolare ed è composto da una catena, di lunghezza variabile, rappresentata da due zuccheri alternati: N-Acetilgalattosamina e l’Acido glucuronico. È un elemento fondamentale della matrice cartilaginea, in quanto interviene in diversi processi che contribuiscono alla conservazione della sua struttura ed al mantenimento delle sue caratteristiche funzionali [11].

Studi clinici hanno dimostrato che Glucosamina e Condroitin solfano possano essere utilizzati in combinazione ottenendo un’efficacia superiore nella gestione dell’artrosi al ginocchio [12-16] rispetto all’utilizzo della singola molecola, ma anche che, l’associazione di questi condroprotettori con principi attivi naturali ad azione antinfiammatoria come il Metilsulfonilmetano (MSM) e la Boswellia serrata (BS) [17-20], possa essere altrettanto vantaggiosa.

Il Metilsulfonilmetano (MSM) è la forma naturale dello zolfo organico [18]. L’azione protettiva dell’MSM sulla cartilagine articolare, si deve al ruolo svolto dallo zolfo nella sintesi del Collagene, ma anche all’azione di inibizione delle MMPs. È inoltre in grado di migliorare la permeabilità delle membrane cellulari: favorendo l’eliminazione di agenti ossidanti e prodotti di scarto metabolico, si evita il loro accumulo all’interno della cellula, prevenendo/contrastando così l’insorgenza di eventuali focolai infiammatori, soprattutto a livello articolare, muscolare e del connettivo. Infine, il MSM inibisce la trasmissione dell’impulso doloroso attraverso le fibre nervose di tipo C e svolge una discreta azione antispasmodica, riducendo l’incidenza di dolore e crampi muscolari [21, 22].

La Boswellia serrata invece, è un albero di grandi dimensioni la cui gommoresina è caratterizzata dalla presenza di costituenti attivi, tra cui spiccano per importanza gli Acidi cheto-boswellici (AKBA) [23] i quali, sono in grado di inibire selettivamente l’enzima 5-Lipossigenasi, coinvolto nella biosintesi di importanti mediatori del processo infiammatorio: i Leucotrieni. La selettività di inibizione relativa alla sola Lipossigenasi e non della Ciclossigenasi, garantisce un’efficace azione antinfiammatoria, senza determinare in nessun caso gastrolesività, consentendone l’impiego anche per periodi di tempo prolungati e in pazienti nei quali l’uso prolungato di FANS è controindicato (esp. pazienti diabetici) [24-27].


Alla luce di quanto esposto in tema di gestione del paziente gonartrosico, la parola chiave fondamentale diventa “SINERGIA”. Le numerose evidenze scientifiche hanno infatti dimostrato che gli estratti fitoterapici, nel loro complesso, offrono risultati migliori rispetto alle dosi equivalenti di singoli principi attivi [28].


In conclusione, l’impiego di questi principi attivi, congiuntamente alla terapia farmacologica, alle misure riabilitative e ad uno stile di vita sano, consentono al clinico di offrire al proprio paziente un regime terapeutico più maneggevole e tollerabile nel medio-lungo periodo, incrementando il successo terapeutico e migliorandone la qualità di vita.

Dott. Raffaele Franzese  – Specialista in Ortopedia e Traumatologia

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IMPIEGO DEI NUTRACEUTICI NEL TRATTAMENTO CRONICO DEI PAZIENTI FIBROMIALGICI

La sindrome fibromialgica è un comune disturbo rappresentato da un dolore cronico e diffuso[1] la cui prevalenza è stata fissata da una recente revisione di tutta la letteratura al 2.7% della popolazione mondiale: il 4.2% delle donne ed l’1.3% degli uomini con un rapporto maschi-femmine di 1:3[2]

Il termine fibromialgia significa dolore nei muscoli e nelle strutture connettivali fibrose (i legamenti e i tendini) e viene definita “sindrome” poiché esistono segni e sintomi clinici che sono contemporaneamente presenti. 

È infatti spesso una patologia complessa da diagnosticare dal momento che alcuni dei suoi sintomi possono essere riscontrati anche in altre condizioni cliniche. 

Sebbene possa assomigliare ad una patologia articolare, non si tratta di artrite e non causa deformità delle strutture articolari. È in effetti una forma di reumatismo extra-articolare o dei tessuti molli, ma manca di alterazioni di laboratorio. 

Per molti anni la difficoltà nella gestione del paziente fibromialgico ha condotto gli esperti a considerare la sintomatologia riferita e ad essa associata come immaginaria o non importante. Negli ultimi 10 anni, tuttavia, studi[3-5] hanno dimostrato che certi sintomi, come il dolore muscolo scheletrico diffuso, e la presenza di specifiche aree algogene alla digitopressione (tender points) sono presenti nei pazienti affetti da sindrome fibromialgica e non comunemente nelle persone sane o in pazienti affetti da altre patologie reumatiche dolorose.

La causa della fibromialgia non è attualmente nota, ma ad oggi ricerche hanno permesso di confutare la visione obsoleta di condizione psicogena[5] e di caratterizzarla come un disturbo della regolazione del dolore e della sensibilizzazione centrale[6,7], la cui sintomatologia associata può subire peggioramenti a causa di alcuni fattori esterni come ad esempio, stress (eventi stressanti, traumi, lutti) affaticamento (per lavoro), carenza di sonno, rumore, freddo, umidità, cambiamenti meteorologici e periodo pre-mestruale[9].

Il processo di analisi e studio della patologia è stato determinante in quanto ha consentito la definizione e la fissazione di linee guida per la sua diagnosi[9,10].

Ciò nonostante, la difficoltà diagnostica è però ancora oggi l’ostacolo principale della fibromialgia, ma è importante specificare che non rappresenta l’unico intralcio ad essa associato. La gestione del paziente dal punto di vista del trattamento farmacologico da parte del clinico è infatti altrettanto complessa.  Non è insolito che i pazienti disorientati si rivolgano ad almeno quattro tipologie di medico differenti (reumatologo, fisiatra, neurologo, ortopedico) esponendosi conseguenzialmente a terapie che prevedono l’utilizzo di farmaci di natura molteplice[11] i quali mirano ad agire selettivamente sulle diverse aree di interesse.

Gli antidepressivi, gli oppioidi, i FANS, i sedativi, i miorilassanti e gli antiepilettici sono infatti solo alcuni dei numerosi farmaci che vengono utilizzati per il trattamento della patologia[12] e molto frequentemente non risolvono alcuna delle manifestazioni cliniche traducendosi in un esito terapeutico insoddisfacente. 

Questa tipologia di approccio è inoltre associata a limitazioni in termini di tollerabilità[13] a principi attivi non immuni ad una quantità massiva di effetti collaterali.

Pertanto, particolarmente interessante è l’approccio nutraceutico in associazione a quello farmacologico od in alternativa allo stesso con lo scopo di agire sugli svariati sintomi della patologia senza però esporre il paziente ad effetti collaterali anche gravi.

A tal fine vengono proposti principi attivi come ad esempio: la Boswellia Serrata, il Magnesio e l’L-Triptofano.

L’acido 11-cheto-beta-boswellico (AKBA) nello specifico, particolarmente presente nella gommoresina della Boswellia Serrata[14], agisce inibendo selettivamente un enzima, la 5-lipossigenasi, impedendo con ciò la sintesi dei leucotrieni: i mediatori chimici che inducono il processo infiammatorio sia acuto che cronico.

La selettività di inibizione relativa alla sola lipossigenasi e non alle ciclossigenasi, rende l’azione antinfiammatoria degli acidi boswellici particolarmente interessante ed utile, in quanto non determina in nessun caso gastrolesività[15] rendendo così l’attivo un’alternativa estremamente valida ai FANS.

Tale azione ampiamente documentata nella letteratura scientifica permette l’utilizzo del botanical nel lungo termine al fine di trattare il sintomo del dolore cronico e contrastare gli stati di tensione localizzati (Claim Ministeriale).

Il paziente fibromialgico è un paziente che come già chiarito in precedenza patisce dolore diffuso di varia intensità, ma un altro sintomo particolarmente presente in questa condizione clinica è anche quello della rigidità muscolare soprattutto in aree come quella di spalle, schiena, zona lombare e glutei[16]. Questo tipo di sintomatologia può essere contrastata attraverso l’utilizzo di micronutrienti quali il magnesio specificatamente sotto forma di complessi bisglicinati organici solubili ovvero la forma più facilmente assorbibile e tollerata a livello gastrointestinale[17].

In questi pazienti, il magnesio è efficace poiché penetra nelle cellule muscolari distendendole, agisce sulla muscolatura rilassandola e attenuando il dolore e contribuisce a produrre e sintetizzare Adenosina Trifosfato (ATP), l’energia necessaria alle cellule per svolgere qualsiasi tipo di lavoro[18-20].

I sintomi della fibromialgia includono anche stati di ansia, depressione e insonnia. Tutte condizioni che possono essere contrastate da una buona integrazione di L-Triptofano[21]. Quest’ultimo, infatti, è stato studiato in associazione ai disturbi sopraelencati per oltre 30 anni ed il principale meccanismo d’azione è legato al suo ruolo di precursore metabolico del neurotrasmettitore serotonina[22]

È stato dimostrato che anche altri neurotrasmettitori e sostanze chimiche del sistema nervoso centrale (SNC), come la melatonina, la dopamina, la norepinefrina e la beta-endorfina, aumentano in seguito alla somministrazione orale di L-Triptofano[23-26].

Ne consegue che in quanto tale, quest’ultimo possa rivelarsi un valido ausilio nel miglioramento del tono dell’umore e del ritmo veglia/sonno.

Infine, non è da sottovalutare in queste condizioni la supplementazione di vitamine del gruppo B (come Riboflavina e Niacina), in virtù degli effetti armonizzanti che questi nutrienti esercitano sulla sfera neurovegetativa e sulla dilatazione dei vasi sanguigni [27,28], e quella di Vitamina D3 che, fisiologicamente, determina un’azione anabolica sul muscolo, migliorando il trofismo e la performance dei fasci muscolari [29]

Concludendo, la gestione del paziente influisce fortemente sul decorso della patologia. Molti infatti, subiscono un impatto significativo sulla qualità della vita e sulla disabilità[30].

La consapevolezza riguardo la patologia è ormai consolidata e l’approccio basato sull’impiego di principi attivi naturali, sia in associazione che in alternativa al trattamento farmacologico standard, potrebbe rappresentare una strategia vincente per la gestione del paziente fibromialgico, soprattutto laddove la terapia sintomatica è di per sè priva di azione sui processi causali e spesso mal tollerata dal paziente.

Dott. Pasquale Cozzolino  – Specialista in Neurologia

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PHARMACEUTICAL CARE: LA NUOVA FRONTIERA DELLA SALUTE

La Farmacia dei Servizi rappresenta il punto di arrivo dell’evoluzione di questa professione.

In un contesto sociale sempre più smart e in continuo cambiamento, gli attori principali di questo scenario sono Farmacisti, Medici e Pazienti, che oggi più che mai hanno bisogno di uno spazio comunicativo digitale, dinamico e interattivo.

Dall’analisi delle esigenze di queste categorie nasce il nostro progetto, Medin Service, che vuole dare risposte e supporto ai Professionisti della Salute per la cura dei Pazienti.

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I BENEFICI DELLA MAGNETOTERAPIA

La magnetoterapia è una tecnica che sfrutta i benefici dei campi magnetici a scopo curativo e riabilitativo. Per capire bene come funziona, è necessario illustrare innanzitutto il concetto di campo magnetico. Se applicata sul nostro corpo, l’azione dei campi magnetici è in grado di ristabilire l’equilibrio biochimico delle cellule qualora questo sia compromesso, ripristinando la corretta funzionalità della membrana cellulare. La magnetoterapia agisce soprattutto sul sistema osseo, articolare, muscolare e vascolare. Schematizzando, ecco quali sono i principali benefici per il nostro organismo:

  • espleta un’azione antinfiammatoria
  • ha un effetto antalgico/antidolorifico
  • accelera la calcificazione delle fratture
  • aumenta l’irrorazione vascolare e la velocità di scorrimento del sangue
  • migliora la circolazione periferica
  • accelera la cicatrizzazione di ferite, piaghe, e la guarigione dei tessuti molli
  • migliora il metabolismo della cute
  • svolge un’azione antinvecchiamento dei tessuti.

I contenuti di questo articolo sono pubblicati solo a scopo informativo, pertanto non sostituiscono il parere del medico.

FONTI

F. Ambrosi, “Magnetoterapia a campo stabile”.
W. Hulke. “Magnetoterapia. Principi fondamentali ed effetti terapeutici”.

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