La sindrome fibromialgica è un comune disturbo rappresentato da un dolore cronico e diffuso[1] la cui prevalenza è stata fissata da una recente revisione di tutta la letteratura al 2.7% della popolazione mondiale: il 4.2% delle donne ed l’1.3% degli uomini con un rapporto maschi-femmine di 1:3[2].
Il termine fibromialgia significa dolore nei muscoli e nelle strutture connettivali fibrose (i legamenti e i tendini) e viene definita “sindrome” poiché esistono segni e sintomi clinici che sono contemporaneamente presenti.
È infatti spesso una patologia complessa da diagnosticare dal momento che alcuni dei suoi sintomi possono essere riscontrati anche in altre condizioni cliniche.
Sebbene possa assomigliare ad una patologia articolare, non si tratta di artrite e non causa deformità delle strutture articolari. È in effetti una forma di reumatismo extra-articolare o dei tessuti molli, ma manca di alterazioni di laboratorio.
Per molti anni la difficoltà nella gestione del paziente fibromialgico ha condotto gli esperti a considerare la sintomatologia riferita e ad essa associata come immaginaria o non importante. Negli ultimi 10 anni, tuttavia, studi[3-5] hanno dimostrato che certi sintomi, come il dolore muscolo scheletrico diffuso, e la presenza di specifiche aree algogene alla digitopressione (tender points) sono presenti nei pazienti affetti da sindrome fibromialgica e non comunemente nelle persone sane o in pazienti affetti da altre patologie reumatiche dolorose.
La causa della fibromialgia non è attualmente nota, ma ad oggi ricerche hanno permesso di confutare la visione obsoleta di condizione psicogena[5] e di caratterizzarla come un disturbo della regolazione del dolore e della sensibilizzazione centrale[6,7], la cui sintomatologia associata può subire peggioramenti a causa di alcuni fattori esterni come ad esempio, stress (eventi stressanti, traumi, lutti) affaticamento (per lavoro), carenza di sonno, rumore, freddo, umidità, cambiamenti meteorologici e periodo pre-mestruale[9].
Il processo di analisi e studio della patologia è stato determinante in quanto ha consentito la definizione e la fissazione di linee guida per la sua diagnosi[9,10].
Ciò nonostante, la difficoltà diagnostica è però ancora oggi l’ostacolo principale della fibromialgia, ma è importante specificare che non rappresenta l’unico intralcio ad essa associato. La gestione del paziente dal punto di vista del trattamento farmacologico da parte del clinico è infatti altrettanto complessa. Non è insolito che i pazienti disorientati si rivolgano ad almeno quattro tipologie di medico differenti (reumatologo, fisiatra, neurologo, ortopedico) esponendosi conseguenzialmente a terapie che prevedono l’utilizzo di farmaci di natura molteplice[11] i quali mirano ad agire selettivamente sulle diverse aree di interesse.
Gli antidepressivi, gli oppioidi, i FANS, i sedativi, i miorilassanti e gli antiepilettici sono infatti solo alcuni dei numerosi farmaci che vengono utilizzati per il trattamento della patologia[12] e molto frequentemente non risolvono alcuna delle manifestazioni cliniche traducendosi in un esito terapeutico insoddisfacente.
Questa tipologia di approccio è inoltre associata a limitazioni in termini di tollerabilità[13] a principi attivi non immuni ad una quantità massiva di effetti collaterali.
Pertanto, particolarmente interessante è l’approccio nutraceutico in associazione a quello farmacologico od in alternativa allo stesso con lo scopo di agire sugli svariati sintomi della patologia senza però esporre il paziente ad effetti collaterali anche gravi.
A tal fine vengono proposti principi attivi come ad esempio: la Boswellia Serrata, il Magnesio e l’L-Triptofano.
L’acido 11-cheto-beta-boswellico (AKBA) nello specifico, particolarmente presente nella gommoresina della Boswellia Serrata[14], agisce inibendo selettivamente un enzima, la 5-lipossigenasi, impedendo con ciò la sintesi dei leucotrieni: i mediatori chimici che inducono il processo infiammatorio sia acuto che cronico.
La selettività di inibizione relativa alla sola lipossigenasi e non alle ciclossigenasi, rende l’azione antinfiammatoria degli acidi boswellici particolarmente interessante ed utile, in quanto non determina in nessun caso gastrolesività[15] rendendo così l’attivo un’alternativa estremamente valida ai FANS.
Tale azione ampiamente documentata nella letteratura scientifica permette l’utilizzo del botanical nel lungo termine al fine di trattare il sintomo del dolore cronico e contrastare gli stati di tensione localizzati (Claim Ministeriale).
Il paziente fibromialgico è un paziente che come già chiarito in precedenza patisce dolore diffuso di varia intensità, ma un altro sintomo particolarmente presente in questa condizione clinica è anche quello della rigidità muscolare soprattutto in aree come quella di spalle, schiena, zona lombare e glutei[16]. Questo tipo di sintomatologia può essere contrastata attraverso l’utilizzo di micronutrienti quali il magnesio specificatamente sotto forma di complessi bisglicinati organici solubili ovvero la forma più facilmente assorbibile e tollerata a livello gastrointestinale[17].
In questi pazienti, il magnesio è efficace poiché penetra nelle cellule muscolari distendendole, agisce sulla muscolatura rilassandola e attenuando il dolore e contribuisce a produrre e sintetizzare Adenosina Trifosfato (ATP), l’energia necessaria alle cellule per svolgere qualsiasi tipo di lavoro[18-20].
I sintomi della fibromialgia includono anche stati di ansia, depressione e insonnia. Tutte condizioni che possono essere contrastate da una buona integrazione di L-Triptofano[21]. Quest’ultimo, infatti, è stato studiato in associazione ai disturbi sopraelencati per oltre 30 anni ed il principale meccanismo d’azione è legato al suo ruolo di precursore metabolico del neurotrasmettitore serotonina[22].
È stato dimostrato che anche altri neurotrasmettitori e sostanze chimiche del sistema nervoso centrale (SNC), come la melatonina, la dopamina, la norepinefrina e la beta-endorfina, aumentano in seguito alla somministrazione orale di L-Triptofano[23-26].
Ne consegue che in quanto tale, quest’ultimo possa rivelarsi un valido ausilio nel miglioramento del tono dell’umore e del ritmo veglia/sonno.
Infine, non è da sottovalutare in queste condizioni la supplementazione di vitamine del gruppo B (come Riboflavina e Niacina), in virtù degli effetti armonizzanti che questi nutrienti esercitano sulla sfera neurovegetativa e sulla dilatazione dei vasi sanguigni [27,28], e quella di Vitamina D3 che, fisiologicamente, determina un’azione anabolica sul muscolo, migliorando il trofismo e la performance dei fasci muscolari [29].
Concludendo, la gestione del paziente influisce fortemente sul decorso della patologia. Molti infatti, subiscono un impatto significativo sulla qualità della vita e sulla disabilità[30].
La consapevolezza riguardo la patologia è ormai consolidata e l’approccio basato sull’impiego di principi attivi naturali, sia in associazione che in alternativa al trattamento farmacologico standard, potrebbe rappresentare una strategia vincente per la gestione del paziente fibromialgico, soprattutto laddove la terapia sintomatica è di per sè priva di azione sui processi causali e spesso mal tollerata dal paziente.
Dott. Pasquale Cozzolino – Specialista in Neurologia
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