La tiroidite cronica di Hashimoto è la più frequente delle patologie tiroidee ed è la causa più comune di ipotiroidismo nelle aree del mondo con sufficiente apporto di iodio, con una prevalenza del 5-15% nelle donne e del 1-5% negli uomini [1]. La patologia è causata dall’instaurarsi di un processo infiammatorio-autoimmune a carico della tiroide che porta, nel tempo, ad una graduale ma progressiva ipofunzione ghiandolare (Ipotiroidismo). Per motivi ancora poco noti, il sistema immunitario non riconosce più la tiroide come un costituente normale dell’organismo, per cui inizia ad attaccare le cellule tiroidee con conseguente infiltrazione linfocitaria e produzione di anticorpi diretti contro le strutture ghiandolari (Anticorpi anti-tiroidei) [2]. Classicamente gli autoanticorpi che si riscontrano nella tiroidite cronica sono quelli anti tireoperossidasi (Ab anti-TPO) (95%) e anti-tireoglobulina (Ab anti-Tg) (50-60%) [3]. Il processo infiammatorio e l’infiltrazione linfocitaria determinano, nel tempo, una riduzione nella sintesi degli ormoni tiroidei, tramite la distruzione apoptotica delle cellule tiroide, con conseguente comparsa di Ipotiroidismo. Si osservano tra l’altro fibrosi ghiandolare, soprattutto nelle tiroiditi di vecchia data, e aumento del volume ghiandolare (Gozzo e/o Noduli) [4]. L’evoluzione in senso ipofunzionale è imprevedibile nel singolo soggetto, poiché può manifestarsi in qualsiasi fase della malattia: talora rappresenta la manifestazione di esordio, ma più frequentemente compare in pazienti con positività anticorpale nota da anni. In molti casi, la comparsa di segni e sintomi conclamati di ipofunzione segue una fase di ipotiroidismo subclinico, che è definito dall’elevazione isolata dell’ormone tireostimolante (TSH), con normalità degli ormoni tiroidei, in pazienti del tutto asintomatici [5]. La tiroidite di Hashimoto nella sua manifestazione classica consta quindi di tre fasi:
- Eutiroidismo
- Ipotiroidismo subclinico
- Ipotiroidismo conclamato permanente
In generale, è stato stimato che i pazienti con anticorpi positivi e/o ipotiroidismo subclinico vadano incontro ad ipotiroidismo conclamato con una frequenza, nel sesso femminile, del 2-4% all’anno [6]. In caso di ipotiroidismo conclamato o di ipotiroidismo subclinico con TSH > 10 U/l, il trattamento farmacologico universalmente riconosciuto prevede la somministrazione di L-tiroxina a dosaggio sostitutivo, tale da riportare il TSH nei limiti di normalità. La terapia con l’ormone sostitutivo non è invece obbligatoria negli altri casi con TSH normale o TSH appena al di sopra della norma [5]. In questi casi, per evitare l’ulteriore peggioramento della funzionalità ghiandolare, è bene valutare integrazioni di Selenio. Il Selenio (Se) è un oligoelemento la cui presenza è fondamentale per garantire il corretto funzionamento della ghiandola tiroidea [7]. La tiroide ha la più alta concentrazione per grammo di questo elemento, rispetto a qualsiasi altro tessuto o organo dell’organismo [8]. A livello tiroideo il Selenio funge da cofattore di un gruppo molto importante di enzimi noti come Selenoproteine [7]; tra questi troviamo:
- Glutatione perossidasi (GPx): il più importante enzima endogeno ad azione antiossidante, in grado di:
- neutralizzare l’eccesso di perossido d’idrogeno (H2O2) che si viene a formare in sede tiroidea durante il processo di sintesi degli ormoni tiroidei;
- ridurre la morte cellulare dei tireociti;
- modulare la sintesi della Tireoglobulina (TG) e degli Ormoni tiroidei (T4, T3);
- Desiosasi (D1, D2 e D3): enzimi responsabili della conversione del T4 (Ormone inattivo) nel T3 (ormone attivo).
- Tioredoxina reduttasi (TR): altro importante enzima ad azione antiossidante
Una carenza di selenio può quindi contribuire al manifestarsi di una tiroidite autoimmune in soggetti predisposti [9]; ciò è probabilmente legato ad un’intensificazione del processo infiammatorio tiroideo, conseguente alla riduzione dell’attività degli enzimi antiossidanti selenio-dipendenti ed alla mancanza dell’effetto immunomodulatore esercitato dal selenio stesso [10-12]. Il valore della supplementazione di selenio in pazienti affetti con tireopatie autoimmuni è stato enfatizzato negli ultimi anni. Studi condotti su pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto hanno dimostrato che la supplementazione di selenio riduce i livelli di anticorpi anti-tiroide e rallenta la fibrosi ghiandolare valutata ecograficamente, arrivando, in alcuni casi, ristabilire l’euteriosi. [8, 13-21]. Inoltre, nei pazienti con produzione assente (Tiroidectomia totale) o ridotta di ormoni tiroidei (Tiroidectomia parziale) che, per la produzione ormonale, si basano unicamente o prevalentemente sulla deiodinazione della L-tiroxina esogena, la supplementazione di selenio può e incrementare l’efficienza di conversione della Levotiroxina esagena nell’ormone T3 attivo e ottimizzare il feedback dell’ormone tiroideo a livello ipofisario, riducendo la stimolazione dell’eventuale tessuto tiroideo residuo. Nell’uomo, la dose raccomandata di selenio per ottenere la massima attività degli enzimi antiossidanti tiroidei è compresa tra 55 e 75 microgrammi al giorno [22, 23]. Tra le varie forme di selenio disponibili per l’integrazione nutrizionale, le forme organiche come la Selenio-metionina e il Lievito arricchito in selenio sono da preferirsi in quanto garantiscono un’efficacia e sicurezza molto più elevate rispetto alle forme inorganiche come Selenite e Selenato.
I contenuti di questo articolo sono pubblicati solo a scopo informativo, pertanto non sostituiscono il parere del medico.
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