I noduli tiroidei sono delle protuberanze anomale (solide, liquide o miste), che si formano nel contesto della ghiandola tiroidea, aventi una natura più spesso benigna che maligna. Di dimensioni estremamente variabili, i noduli tiroidei possono presentarsi in modi diversi: possono essere protuberanze singole oppure multiple; possono risiedere sulla superficie della tiroide oppure negli strati più profondi di quest’ultima; possono essere sintomatici oppure asintomatici; possono stimolare o deprimere l’attività ormonale della tiroide; ecc… [1]. A prescindere dalle loro caratteristiche morfologiche, i noduli tiroidei sono manifestazioni molto frequenti nella popolazione generale:
- Nella popolazione adulta, la prevalenza dei soli noduli tiroidei palpabili è del 3-7%, mentre la prevalenza dei noduli tiroidei palpabili e non palpabili (a causa delle piccole dimensioni) oscilla tra il 30% e il 60%;
- La frequenza dei noduli tiroidei nella popolazione femminile è circa quattro volte superiore che nella popolazione maschile;
- Solo il 5-10% di tutti i noduli tiroidei ha carattere maligno [2].
I noduli tiroidei solitamente non causano sintomi e, per la maggior parte, vengono rilevati in modo del tutto accidentale durante una semplice ecografia tiroidea di routine. In alcuni casi, i noduli possono crescere e rendersi manifesti visivamente e/o alla palpazione come rigonfiamenti tondeggianti alla base del collo. Talvolta, nei casi di maggiori dimensioni, possono determinare pressione sulla trachea o sull’esofago, causando senso di difficoltà respiratoria (dispnea) o alla deglutizione (disfagia). La maggior parte dei noduli tiroidei è però silente, cioè non causa sintomi, e anche quelli di natura maligna hanno una crescita lenta, potendo essere scoperti quando ancora di dimensioni ridotte [3,4]. Il preciso meccanismo fisiopatologico che determina la formazione dei noduli tiroidei è tuttora sconosciuto; tuttavia, è un dato di fatto l’esistenza di un collegamento diretto tra noduli alla tiroide e un inadeguato apporto di Iodio con la dieta [5,6]. Lo Iodio è un oligoelemento di fondamentale importanza per garantire il corretto funzionamento della ghiandola tiroidea [7]. In Italia esistono purtroppo ancora molte aree a carenza iodica (soprattutto quelle più lontane dal mare) e, sebbene il Ministero della Salute abbia adottato una politica volta alla correzione dei disturbi da carenza iodica mediante l’introduzione nella dieta del sale iodato, la vendita del sale iodato in Italia, in confronto al sale non iodato, è ben lontana dall’ottimale per una iodo-profilassi efficace. Quando l’apporto di iodio è insufficiente, la tiroide non riesce a produrre più gli ormoni tiroidei in quantità sufficienti. L’organismo cerca di reagire a questa situazione producendo più TSH, l’ormone ipofisario che stimola la produzione di ormoni tiroidei. Per raggiungere il suo scopo il TSH produce però conseguentemente anche un ingrossamento anomalo della tiroide e dunque la formazione di noduli e/o gozzo [8]. L’integrazione iodica, ripristinando il giusto rate di sintesi degli ormoni tiroide, potrebbe essere utile a correggere il segnale aberrante del TSH, evitando l’ulteriore crescita del tessuto tiroideo e ritardando, se possibile, il ricorso alla Terapia ormonale sostitutiva [9].
Oltre alla carenza iodica altri fattori che possono predisporre l’individuo alla formazione di noduli tiroidei sono:
- Predisposizione ereditaria familiare (prevalentemente da parte materna);
- Tiroiditi autoimmuni
- Abitudine al fumo di sigaretta: il tabacco contiene una sostanza chimica detta Tiocianato che può interferire con la capacità del corpo di utilizzare lo iodio;
- Assunzione di farmaci come Immunosoppressori ed Litio;
- Esposizione alle radiazioni [6].
Sebbene la stragrande maggioranza dei noduli tiroidei sia benigna, solo una piccola percentuale (5%) di noduli può evolvere in cancro. In genere, l’iter diagnostico per l’individuazione e lo studio delle caratteristiche dei noduli tiroidei inizia da un accurato esame obiettivo della tiroide e da una scrupolosa anamnesi del paziente [2]. L’esame obiettivo consiste sostanzialmente nell’analisi palpatoria della tiroide, finalizzata a individuare eventuali protuberanze sospette, mentre l’anamnesi si concentra soprattutto sulla ricerca delle condizioni favorenti/associate alla presenza di ingrossamenti della tiroide (es: carenza di iodio, tiroiditi, fattori di rischio dei noduli tiroidi maligni ecc.). Generalmente si procede poi con un’ecografia tiroidea non solo per confermare la presenza di noduli, ma anche per stabilirne l’esatta posizione, le precise dimensioni, la consistenza del contenuto (solido o liquido) ecc. e con il dosaggio degli ormoni tiroidei T3 e T4 e dell’ormone ipofisario TSH, oltre ad alcuni marcatori come Tireoglobulina e Calcitonina, quest’ultimi utili a fini di una corretta diagnosi di benignità o malignità del nodulo. In genere, nel momento in cui l’endocrinologo individua un nodulo, ne valuta immediatamente la pericolosità. Se presenta bordi irregolari, microcalcificazioni e grande irrorazione sanguigna è probabile si tratti di una forma maligna che si può classificare in base a 3 fasce di rischio tra basso, intermedio e alto (secondo le linee guida di AACE, ACE e AME) [2]. In caso di sospetta malignità, l’agoaspirato è l’esame più indicato per stabilire se si tratta o meno di una forma tumorale. La terapia è diversa a seconda che il nodulo sia maligno o benigno:
a) in caso di nodulo benigno, il nodulo va semplicemente seguito nel tempo attraverso ecografie periodiche di controllo ogni 6-12 mesi (sorveglianza attiva). Tuttavia, se il nodulo ha assunto dimensioni tali da causare fastidi alla trachea (deviazione o restringimento), potrebbe rendersi necessaria la sua rimozione, anche se benigno [10];
b) in caso di nodulo maligno si procede ad asportarlo chirurgicamente: se il diametro è inferiore di 10 mm e la neoplasia non è estesa ad altri organi, si procede con la sola rimozione del lobo destro o sinistro (emitiroidectomia o tiroidectomia parziale). Se, invece, il diametro supera i 40 mm e il tumore è esteso in più parti, si opta per l’asportazione totale (tiroidectomia totale) con rimozione dei linfonodi del collo, nei casi più gravi [10].
I contenuti di questo articolo sono pubblicati solo a scopo informativo, pertanto non sostituiscono il parere del medico.
BIBLIOGRAFIA
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