La cistite è un’infiammazione della parete vescicale frequentemente provocata da un’infezione di natura batterica. Nell’80% dei casi, l’agente patogeno responsabile è Escherichia Coli uropatogeno (UPEC), un batterio normalmente presente nel nostro organismo [1]. Dal punto di vista epidemiologico, la cistite è una patologia che colpisce soprattutto le donne (rapporto 8:1); si stima infatti che, nel corso di un anno, fino al 50% delle italiane sperimenterà un episodio infettivo a carico delle vie urinarie. Dopo il primo episodio, una donna su quattro, ne avrà un secondo entro i sei mesi successivi e una su cinque svilupperà una forma ricorrente con più di tre episodi l’anno [2]. Il fattore che più di tutti aumenta la suscettibilità del sesso femminile alle infezioni a carico delle basse vie urinarie è legato alla diversa conformazione anatomica dell’ultimo tratto escretore nella donna rispetto all’uomo. La brevità dell’uretra femminile, che misura circa 3-4 cm, e la vicinanza alla vagina e al retto fanno sì che i batteri provenienti dall’intestino possano raggiungere più facilmente il condotto uretrale e da qui risalire fino alla vescica [3]. Una volta giunti nella vescica, i patogeni, attecchiscono all’urotelio (il rivestimento interno della vescica) e iniziano a replicarsi a discapito delle cellule della mucosa vescicale; ciò innesca una massiva risposta infiammatoria locale responsabile dei sintomi tipici della cistite infettiva, tra questi:
- Emissione con elevata frequenza di piccole quantità di urina (Pollachiuria)
- Dolore e bruciore nell’urinare che persiste anche dopo la fine della minzione (Stranguria)
- Improvvisa necessità di urinare (Urgenza urinaria)
- Sensazione di svuotamento incompleto della vescica (Tenesmo vescicale)
- Presenza di sangue nelle urine (Ematuria)
Questi sintomi possono essere presenti tutti o in parte, e possono accompagnarsi a torbidità delle urine che potrebbero avere odore sgradevole [1]. Trattandosi di infezioni per la maggior parte di natura batterica, la terapia d’elezione è rappresentata dagli Antibiotici. Come evidenziano i dati internazionali e nazionali, le IVU rappresentano infatti una delle principali cause di prescrizione antibiotica [4]. L’elevato ricorso alla terapia antibiotica, tra l’altro non sempre indicata, si associa, sovente, allo sviluppo di antibiotico-resistenza [5]. Il rischio in questi casi non è solo quello d’incorrere in un fallimento terapeutico, con conseguente sviluppo di alti tassi di recidive (cistiti ricorrenti), ma anche quello che lo stesso risulti aggravato dalla comparsa di fastidiosi effetti collaterali. Pertanto, analizzando complessivamente i dati relativi a prescrizione antibiotica e antibiotico-resistenza dei principali patogeni urinari, l’intero Sistema Sanitario Nazionale sta volgendo sempre più la propria attenzione al miglioramento della gestione terapeutica delle infezioni a carico del tratto urinario nell’adulto, puntando preferenzialmente ad una profilassi non antibiotica. Negli ultimi anni, i prodotti nutraceutici sono entrati in supporto della tradizionale terapia antibiotica, consentendo, in alcuni casi, di ridurre il dosaggio degli antibiotici, con conseguente riduzione degli effetti collaterali associati, e in altri di evitare il ricorso alla prescrizione antibiotica, con conseguente riduzione del rischio di sviluppo di antibiotico-resistenza [6]. In questo contesto, l’intervento nutraceutico si focalizza sull’impiego di sostanze naturali in grado di agire sia a livello delle basse vie urinarie attraverso azioni di antibatterico ed antinfiammatorio, sia a livello della flora batterica intestinale e vaginale attraverso il ripristino del microbiota locale.
L’ambiente vaginale ospita un ecosistema molto complesso e dinamico, che comprende oltre 200 specie batteriche diverse, di cui più del 90% appartiene al genere Lactobacillus. I batteri lattici del microbiota vaginale costituiscono la prima linea di difesa contro l’attecchimento dei patogeni, attraverso la produzione di metaboliti ad azione batteriostatica e battericida, in grado di contenere la carica batterica patogena [7]. Squilibri qualitativi e/o quantitativi a carico del microbiota vaginale, possono pertanto aumentare la suscettibilità dell’individuo a contrarre un’infezione a carico delle vie urinarie [8]. Studi in vitro hanno dimostrato che, tra le specie probiotiche, il Lactobacillus plantarum si dimostra particolarmente efficace nell’impedire l’adesione di E. coli alle cellule della vescica, tramite un meccanismo di competizione per i siti di ancoraggio alle cellule vescicali, e di prevenire la formazione di biofilm batterici (aggregazioni complesse di microrganismi a creare una matrice adesiva e protettiva), non facilmente eradicabili con le terapie antibiotiche convenzionali, tramite la produzione di molecole ad azione antimicrobica [9,10]. Il D-mannosio e l’Hibiscus sabdariffa rappresentano principi attivi di lungo impiego nel trattamento delle infezioni alle vie urinarie [10-15]. La peculiarità di questa associazione è legata al sinergismo d’azione che si instaura tra i due attivi, tale da garantire un’azione antibatterica ad ampio spettro. Il D-mannosio, uno zucchero semplice che non viene metabolizzato dall’organismo, nel suo passaggio lungo il distretto urinario è in grado di attaccarsi agli uropatogeni che presentano sulla loro superficie Fimbrie mannosio sensibili, impedendo così la loro adesione alla parete vescicale e favorendone l’eliminazione attraverso il flusso urinario. I batteri presentano tuttavia sulla loro superficie anche Fimbrie mannosio-resistenti; le Proantocianidine (PACs) di cui l’Hibiscus è particolarmente abbondante, sono in grado di legarsi alle Fimbrie di tipo P, quelle mannosio-resistenti, saturando così tutti i siti di ancoraggio dei batteri alla parete vescicale. L’Hibiscus è inoltre in grado di acidificare il Ph dell’ambiente vescicale, rendendolo così più inospitale per la proliferazione dei patogeni, risultando efficace anche nei confronti del fungo Candida Albicans [16]. Per il controllo della sintomatologia dolorosa, in luogo dei classici Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS), il cui impiego sul medio-lungo periodo non è consigliato a causa degli effetti collaterali a livello gastrico, è possibile valutare integrazioni di antinfiammatori di origine naturale, quali la Boswellia serrata. Gli Acidi cheto-boswellici (AKBA) contenuti in questa pianta, inibendo selettivamente l’enzima 5-Lipossigenasi (e non le Ciclossigenasi come i FANS tradizionali), garantiscono un’efficace azione antinfiammatoria, senza determinare in nessun caso gastrolesività, consentendone l’impiego anche per periodi di tempo prolungati [17,18]. In conclusione, nelle donne con infezioni alle basse vie urinarie, l’integrazione nutraceutica, in fase acuta, consente di agire efficacemente sul controllo della sintomatologia, offrendo la possibilità di ridurre il ricorso alla terapia antibiotica, mentre se utilizzata a cicli di prevenzione, è utile per ridurre la suscettibilità individuale alle infezioni batteriche, riducendo la frequenza delle recidive.
I contenuti di questo articolo sono pubblicati solo a scopo informativo, pertanto non sostituiscono il parere del medico.
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