In Italia le malattie reumatiche colpiscono circa 5 milioni e mezzo di abitanti, un decimo della popolazione totale. Tra queste, l’Osteoartrosi (OA) è di gran lunga l’affezione più frequente, rappresentando da sola circa il 72% dei casi con un’incidenza che aumenta con l’aumentare dell’età [1].
L’OA è un processo patologico di natura degenerativa che trae origine dalla perdita del fisiologico equilibrio tra fenomeni catabolici e fenomeni riparativi a livello della cartilagine articolare. Il processo coinvolge anche l’osso subcondrale, la membrana sinoviale e determina uno scompenso globale a carico dell’articolazione.
La patogenesi dell’artrosi non è stata ancora completamente chiarita [2]. L’ipotesi più accreditata evidenzia come sollecitazioni meccaniche eccessive che agiscono su una cartilagine normale o alterazioni cartilaginee intrinseche determinino una aumentata produzione da parte dei condrociti di Metalloproteasi di matrice (MMPs), una famiglia di endopeptidasi zinco-dipendenti in grado di degradare la matrice extracellulare, con conseguente degradazione della matrice cartilaginea e liberazione di detriti nel liquido sinoviale. Questi detriti fagocitati dalla membrana sinoviale stimolano i sinoviociti a produrre citochine pro-infiammatorie (principalmente IL-1 e TNF-a) che, a loro volta, inducono i condrociti a produrre NO e PGE2, amplificando così il processo flogistico-degenerativo [3].
L’OA è, per diversi fattori, una patologia particolarmente difficile da trattare: innanzitutto è una patologia che tende a cronicizzare e, in quanto tale necessita di terapie di lungo periodo. La cronicizzazione della patologia si accompagna inoltre allo sviluppo di un’invalidità che, a seconda del decorso della patologia, può essere più o meno grave e comportare costi sociali e personali più o meno elevati [4].
Le linee guida ACR (American College of Rheumatology) 2019 [5] per la gestione del paziente artrosico includono una combinazione di interventi farmacologici (Terapia sintomatica, Terapia intrarticolare e Terapia di fondo) e non farmacologici (perdita di peso, programmi di istruzione del paziente, esercizio fisico e così via), mentre la chirurgia viene di solito riservata solo alle forme più gravi nelle quali il dolore e la difficoltà di movimento impediscono al paziente di condurre una vita normale.
Ad ogni modo, ad oggi, non esistono terapie farmacologiche specifiche in grado di prevenire la progressione del danno articolare causato da OA, ma la terapia standard prevede l’adozione di un regime terapeutico basato su una combinazione di Farmaci sintomatici ad azione rapida (Fast-Acting Drug for OsteoArthritis) e
Farmaci sintomatici ad azione lenta (SYmptomatic Slow-Acting Drugs for OsteoArthritis) [6]. Appartengono alla prima categoria i FANS, gli Analgesici e i Corticosteroidi classici; questi farmaci hanno il vantaggio di esercitare un effetto immediato sugli stati infiammatori responsabili del dolore (quindi sul sintomo), ma non esercitano alcun’azione sulle cause della patologia osteoartrosica e spesso producono effetti collaterali non trascurabili (gestrointestinali, renali e cardiovascolari) che non ne rendono consigliabile l’impiego sul lungo periodo [7,8]. Congiuntamente ai farmaci sintomatici classici è oramai di uso comune nella gestione del paziente con OA il ricorso ai cosiddetti SYSADOA [9-11]. Si tratta di principi attivi in grado di stimolare la sintesi dei principali costituenti della cartilagine articolare (Glicosaminoglicani, Proteoglicani e Collagene), fornendo così nutrimento e sostegno all’articolazione artrosica, conservare le condizioni di vitalità dei ondrociti e mantenere inalterate le caratteristiche del liquido sinoviale [12].
Appartiene a questa categoria tra le altre, l’acido ialuronico (HA) somministrato principalmente per via intrarticolare (viscosupplementazione) [13].
Il concetto di viscosupplementazione (VS) venne introdotto nel 1993 da Balazs [13] come nuova strategia terapeutica per il trattamento di patologie, come l’osteoartrosi, responsabili di un’alterazione qualitativa e quantitativa del liquido sinoviale delle articolazioni.
Balazs per primo ipotizzò che l’iniezione intra-articolare di HA nelle articolazioni osteoartrosiche avrebbe avuto la capacità di ripristinare la viscoelasticità del liquido sinoviale, di aumentare il flusso di liquido articolare, di normalizzare la sintesi endogena di ialuronato, di inibire la degradazione di ialuronato, di ridurre il dolore articolare e di migliorare la funzionalità dell’articolazione [13].
Attualmente, numerosi studi dimostrano con sempre maggior evidenza, come cicli ripetuti di iniezioni ecoguidate intra-articolari di HA, comportino un notevole miglioramento della sintomatologia dolorosa nonché della funzionalità articolare e del consumo di analgesici evidenziando inoltre, un netto ritardo per gli interventi di protesizzazione delle articolazioni interessate dal processo patologico [14,15].
Nonostante ciò, le linee guida e le raccomandazioni delle diverse Società sono spesso in contraddizione tra loro questo perché il principale svantaggio offerto da suddetta terapia è che il processo infiammatorio in corso riduce notevolmente il suo effetto, dal momento che la produzione di enzimi litici, degrada ulteriormente l’articolazione [16].
Ne consegue che molte evidenze hanno cominciato a porre l’accento sull’associazione di VS e condroprotezione orale.
In uno studio randomizzato open label, 40 pazienti con OA del ginocchio di grado lieve-moderato sono stati assegnati a ricevere VS intrarticolare con HA per 5 settimane, seguita o meno da condroprotezione orale per 6 mesi. Entrambi i gruppi hanno riportato significativi benefici alla conclusione della terapia infiltrativa rispetto alla situazione basale, ma solo i pazienti che assumevano condroprotezione orale, hanno mantenuto i punteggi di VAS e Lequesne a 6 mesi significativamente ridotti da quelli basali [17].
La condroprotezione orale, nello specifico prevede l’utilizzo di un gruppo di principi attivi che prendono il nome di Inibitori delle Metalloproteasi di matrice (MMPs). Come visto in precedenza l’attivazione delle MMPs rappresenta il trigger patologico in grado di innescare il processo infiammatorio a livello articolare [18-21].
Bloccare questi enzimi, significa pertanto ritardare la degenerazione cartilaginea, arrestando al contempo il processo flogistico a valle [22,23].
Appartengono a questa categoria: N-Acetil-D-glucosammina, Condroitin solfato, Metilsulfonilmetano e Boswellia serrata.
La N-Acetil-D-Glucosamina (NAG) è un aminozucchero precursore della sintesi dei Glicosaminoglicani (GAGs), i principali costituenti della cartilagine articolare. Così come le altre forme di Glucosammina presenti sul mercato (Glucosammina solfato e Glucosammina cloridrato), la NAG è in grado di stimolare la sintesi dei principali costituenti della matrice cartilaginea (GAGs, PGs e Acido ialuronico), fornendo nutrimento e sostegno trofico all’articolazione. La NAG presenta inoltre dei vantaggi sostanziali che ne incoraggiano l’uso rispetto alle altre forme di Glucosammina [24]. In particolare, a differenza della Glucosammina solfato e cloridrato, la NAG è in grado di operare l’inibizione delle MMPs, rallentando l’erosione della matrice cartilazionea e il conseguente processo di flogosi, stimolare la sintesi di HA, esplicare un’interessante azione antinfiammatoria, non inibire la sintesi di Glucosammina endogena e non indurre insulino-resistenza.
Tant’è vero che, ad oggi, la NAG, rappresenta l’unica forma di Glucosamina ad aver ottenuto una specifica indicazione terapeutica da parte del Ministero della Salute italiano.
Un altro principio attivo in grado di provocare l’inibizione delle MMPs e da tempo utilizzato nella gestione del paziente artrosico è la Condroitin solfato. Quest’ultima, rappresenta il GAG più abbondante a livello della cartilagine articolare, dove ne rappresenta il maggiore responsabile della resistenza alla compressione, tant’è vero che l’impoverimento in Condroitin solfato della cartilagine articolare rappresenta una tra le principali cause di OA [25-29].
Il beneficio apportato dalla Condroitin solfato nei pazienti affetti da OA è presumibilmente il risultato di varie azioni: stimolazione della sintesi di Proteoglicani e Acido ialuronico, inibizione dell’attività erosiva delle MMPs, azione antinfiammatoria e inibizione dell’apoptosi dei condrociti articolari [25-29].
In diversi studi clinici, la Glucosamina e la Condroitina sono state associate ad altri principi attivi naturali che hanno prodotto risultati promettenti nel trattamento delle patologie su base infiammatoria: Si tratta del Metilsulfonilmetano (MSM) e della Boswellia serrata (BS) [30-32].
Il Metilsulfonilmetano (MSM) rappresenta la forma naturale dello zolfo organico [33]. L’azione protettiva
dell’MSM sulla cartilagine articolare, si deve al ruolo svolto dallo zolfo nella sintesi del Collagene; la presenza dello zolfo serve infatti a garantire la formazione dei legami disolfuro tra le triple eliche del Procollagene, promuovendo la formazione dei tessuti elastici quali appunto la cartilagine articolare. Il Metilsulfonilmetano inibisce inoltre l’attivazione delle MMPs ed è in grado di migliorare la permeabilità cellulare, permettendo alle sostanze dannose di essere eliminate più facilmente e prevenendo così un possibile aumento della pressione intracellulare che è causa di dolore e infiammazione. Il MSM inibisce infine la trasmissione dell’impulso doloroso attraverso le fibre nervose di tipo C e svolge una discreta azione antispasmodica, riducendo l’incidenza di dolore e crampi muscolari [34,35].
La Boswellia serrata, è un albero di grandi dimensioni che cresce nelle regioni montuose di India, Nord Africa e Medio Oriente. La gommoresina di questa pianta è ricca di numerosi principi attivi, tra cui spiccano per importanza gli Acidi cheto-boswellici (AKBA) [36]. Quest’ultimi sono in grado di inibire selettivamente l’enzima 5-Lipossigenasi, coinvolto nella biosintesi di importanti mediatori del processo infiammatorio: i
Leucotrieni. La selettività di inibizione relativa alla sola Lipossigenasi e non della Ciclossigenasi, rende l’azione antinfiammatoria degli Acidi Boswellici particolarmente interessante ed utile ai fini terapeutici, in quanto non determina in nessun caso gastrolesività (al contrario dei FANS). Gli Acidi boswellici si sono inoltre dimostrati in grado di bloccare la migrazione dei leucociti polimorfonucleati verso i siti di flogosi. Ciò fornisce un notevole vantaggio terapeutico, dal momento che, se non bloccate, queste cellule, una volta giunte sul sito dell’infiammazione, rilasciano una serie di enzimi ad azione proteolitica (Elastasi, Glucuronidasi, N- Acetilglucosaminidasi, ec..), responsabili della distruzione del collagene e dei tessuti elastici (Cartilagini, Tendini e Legamenti). Le proprietà della Boswellia Serrata sono ampiamente riconosciute in letteratura, al punto che lo stesso Ministero della Salute ha rilasciato per questa sostanza il seguente Claim Ministeriale: “La Boswellia Serrata Sostiene la Funzionalità Articolare e Contrasta gli Stati di Tensione localizzati” [37-40].
In conclusione, come si è visto, da un punto di vista teorico l’associazione della VS con HA, di breve durata e ad azione relativamente rapida sull’articolazione, con un trattamento condroprotettivo ad azione lenta che permetta di prolungare il beneficio clinico agendo sugli stessi meccanismi fisiopatologici potrebbe avere un fondato razionale clinico. In realtà, ambedue i tipi di trattamento hanno un effetto nel proteggere la cartilagine articolare e ritardare la progressione della malattia e la loro azione potrebbe essere complementare e sinergica [41-44].
Anche dal punto di vista clinico, l’associazione di una VS intrarticolare con 3-5 iniezioni intrarticolari di HA a cadenza settimanale con un trattamento condroprotettivo orale di 3-6 mesi, che permetta di prolungare il beneficio clinico agendo sugli stessi meccanismi fisiopatologici, sembra ragionevole e supportato da iniziali evidenze sperimentali.
Nuovi studi si rendono quindi necessari al fine di validare con ancor maggior vigore quanto precedentemente descritto.
Dott. Alessandro Cerino – Specialista in Ortopedia e Traumatologia
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