L’Osteoartrosi (OA) è una patologia cronica, a carattere degenerativo, e invalidante caratterizzata da flogosi, con dolore e rigidità articolare, come risultante di un progressivo deterioramento della cartilagine articolare, dell’osso subcondrale e dei tessuti molli adiacenti [1]. Sebbene la patogenesi dell’OA non sia stata ancora chiaramente definita, la componente degenerativa della cartilagine articolare rappresenta l’evento centrale nello sviluppo della patologia [2]. L’OA colpisce il 50% della popolazione oltre i 50 anni, e colpisce maggiormente le articolazioni portanti, vale a dire quelle su cui grava il peso corporeo: le anche, le ginocchia, lo stesso rachide. In condizioni fisiologiche, la cartilagine, costituita per lo più da Acqua, Collagene, Glicosaminoglicani/Proteoglicani (i principali elementi strutturali) e Condrociti (le cellule che producono la cartilagine) agisce da cuscinetto ammortizzatore tra le articolazioni. Il logoramento progressivo del tessuto cartilagineo che si verifica in corso di OA causa, dunque, lo sfregamento diretto dei capi articolari, responsabile a sua volta di infiammazione, dolore e limitazione funzionale. La rilevanza epidemiologica dell’osteoartrosi è ben nota: secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’osteoartrosi sintomatica interessa il 9,6% degli uomini e il 18% delle donne dopo i 60 anni. Sebbene la prevalenza delle diverse forme artrosiche sia maggiore nella popolazione anziana, la malattia ha un’alta prevalenza anche nella popolazione giovanile, con conseguenze importanti sia sul piano economico che sociale [3]. Negli ultimi anni, è emersa una sempre più convincente associazione tra Osteoartrosi e Diabete [4-6]. In una metanalisi di 49 studi che ha coinvolto più di 1 milione di partecipanti, Louati et al. hanno dimostrato che la prevalenza complessiva di OA nella popolazione con DMT2 era maggiore che nella popolazione non diabetica [10]. Un altro studio in metaanalisi condotto nel 2016 da Courties A. e Sellam J., il Diabete Mellito tipo 2 è stato descritto come fattore di rischio indipendente per OA, riconoscendo l’impatto negativo come risultante della induzione dello stress ossidativo e della produzione di citochine pro-infiammatorie, ma anche perché l’età avanzata induce modifiche nei tessuti molli legate alla cronica elevata concentrazione di glcuosio (31). L’associazione tra Osteoartrosi e DMT2 avvalora, pertanto, l’ipotesi che l’OA non sia una patologia meramente meccanica, quanto piuttosto una “malattia metabolica”. Tale associazione sembrerebbe infatti trovare la sua origine nella condizione di infiammazione cronica e nell’alterazione metabolica che caratterizza entrambe le patologie. Sembrerebbe infatti che la deregolazione del metabolismo glucidico, l’aumentato stress ossidativo, la low-grade inflammation e l’accumulo dei prodotti di glicazione avanzata (AGE) possano affliggere la salute della cartilagine articolare, favorendo tanto l’insorgenza, quanto la progressione di OA, indipendentemente dal sesso, dall’età e dall’indice di massa corporea [4], anch’essi fattori di rischio condivisi tra le due patologie [7-9]. Il diabete non aumenta solo il rischio di OA, ma è anche associato ad una progressione più marcata del danno articolare e dunque ad un ricorso più precoce ad interventi di artroplastica del ginocchio e dell’anca [11]. Tali evidenze sono compatibili con i risultati di una ricerca pubblicata nel febbraio 2020 su Arthritis Care & Research nella quale è emerso che i pazienti con osteoartrosi e DMT2 sperimentano un maggiore dolore al ginocchio e un peggioramento dello stato fisico e mentale rispetto ai pazienti non diabetici [12]. I risultati di queste ricerche gettano le basi per arrivare a comprendere come possano interagire tra loro queste due importanti patologie, così da impostare trattamenti adeguati, utili a migliorare la qualità di vita delle persone affette. La terapia dell’OA ha l’obiettivo di alleviare il dolore, ridurre la disabilità e rallentare la progressione della patologia. Il Paracetamolo rappresenta il farmaco di prima scelta per il controllo del dolore ed è ben tollerato anche dalla popolazione diabetica. FANS e COX-2 inibitori dovrebbero invece essere presi in considerazione solo per quei pazienti che non rispondono al trattamento con Paracetamolo (a causa degli effetti collaterali sul medio-lungo periodo) e nel paziente diabetico vanno somministrati con particolare cautela, a causa della loro tendenza a potenziare l’attività dei farmaci antidiabetici, aumentando il rischio di pericolose crisi ipoglicemiche [13,14].
La terapia infiltrativa intra-articolare con Acido ialuronico o Cortisonici è riservata a quei pazienti che non hanno risposto a un programma di terapia non farmacologica, che non rispondono al trattamento con Paracetamolo o nei quali Fans e i COX-2 inibitori siano controindicati o siano risultati inefficaci [15]. Nei pazienti diabetici, tuttavia, le infiltrazioni di Cortisonici sono sconsigliate a causa dei possibili effetti collaterali (aumento della glicemia). Altra opzione terapeutica è la Terapia condroprotettiva, il cui scopo è quello di rallentare la progressione della malattia e stimolare i processi riparativi cartilaginei mediante la somministrazione dei costituenti elementari della cartilagine articolare. A tal proposito, la Società Italiana di Reumatologia (SRI) concorda sull’effetto della Glucosamina e del Condroitin solfato nella riduzione del dolore e nel miglioramento della funzionalità articolare [16-21]. La Glucosamina è un amminosaccaride, costituito da un derivato aminoacidico e da un residuo zuccherino (2 amino-2 deossi D glucosio) e costituisce il substrato preferenziale, il precursore della sintesi dei Glicosaminoglicani (GAGs) e dei proteoglicani cartilaginei: facile immaginarne, pertanto, elevate concentrazioni a livello connettivale, cartilagineo e ligamentoso. Le proprietà della N Acetil D Glucosamina si compendiano, quindi, nel mantenimento di uno stato di idratazione dei tessuti condrali, nella naturale resistenza degli stessi alle forze di trazione, nella elasticità, e nella resistenza alle sollecitazioni, anche di natura traumatica. Tanto attraverso un’alterazione positiva del metabolismo dei condrociti, la migliorata espressione nella produzione di acido ialuronico, e nella soppressione del processo flogistico a livello articolare, inibendo la produzione di citochine e mediatori bioumorali di detto processo [22].
La sua efficacia nel ridurre il dolore e nel migliorare la funzione articolare è stata confrontata con quella dell’Ibuprofene e del Piroxicam, due antinfiammatori ampiamente utilizzati nel trattamento dell’OA. I risultati di questi studi hanno dimostrato che l’efficacia della Glucosamina nel lenire il dolore articolare è simile a quella dell’Ibuprofene [23-25] ed è addirittura superiore a quella del Piroxicam [26], a fronte, in entrambi i casi, di un miglior profilo di tollerabilità. In commercio la Glucosamina è disponibile in diverse formulazioni: Glucosamina solfato, Glucosamina cloridrato e N-Acetil-D-Glucosamina (NAG). Queste tre forme di Glucosamina hanno meccanismi molecolari distinti e pertanto, mediano attività biologiche differenti. Shikhmanyz et al. hanno analizzato gli effetti metabolici della Glucosamina (GlcN) e della N-acetilglucosamina (GlcNAc) in condrociti articolari umani [27]. I risultati hanno mostrato che la Glucosamina inibisce in maniera non competitiva il trasporto facilitato del Glucosio all’interno di condrociti articolari umani attraverso un meccanismo che coinvolge la deplezione delle riserve intracellulari di ATP. Tali evidenze trovano supporto in altre pubblicazioni in cui si è dimostrato come la GlcN inibisca il trasporto facilitato del Glucosio all’interno delle cellule insulino-sensibili, aumentando di fatto il rischio di sviluppare quadri di Insulino-resistenza [28,29]. Di contro, la GlcNAc si è dimostrata in grado di promuovere l’ingresso del Glucosio all’interno delle cellule, senza influenzare in alcun modo l’espressione in membrana dei trasportatori del glucosio (GLUTs). Il Glucosio non serve solo come fonte di energia per la cellula, ma rappresenta anche il principale precursore per la sintesi dei Glicosaminoglicani, gli elementi strutturali essenziali della matrice cartilaginea. Al fine di analizzare l’effetto di questi due aminozuccheri sul processo di sintesi dei GAGs, condrociti articolari umani sono stati incubati sia con la GlcN che con la GlcNAc. I risultati hanno dimostrato che la GlcN inibisce la sintesi endogena dei GAGs e dell’Acido ialuronico, mentre la GlcNAc aumenta i livelli d’espressione della Ialuronato sintasi 2, l’enzima chiave nella via biosintetica dell’Acido ialuronico [27]. Difatti, tra le diverse forme di Glucosamina, la N-Acetil-D-Glucosamina è l’unica ad aver ottenuto una specifica indicazione salutistica da parte del Ministero della salute, in virtù della sua documentata capacità di stimolare la sintesi dell’acido ialuronico [30]. Sulla base ai dati a oggi disponibili, è dunque possibile affermare che la N-Acetil-D-Glucosamina (NAG), somministrata per via orale, sembra produrre una buona attenuazione del dolore e della rigidità articolare con un’efficacia simile o addirittura superiore a quella dei classici antinfiammatori, ma con miglior profilo di tollerabilità. Tra le diverse formulazioni disponibili, la N-Acetil-D-Glucosamina è da preferirsi nel paziente diabetico in virtù della sua peculiare capacità di non aumentare il rischio di insulino-resistenza.
Dott. Gaetano Cervera – Specialista in Ortopedia e Traumatologia
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